Economisti, quale futuro dopo la critica?

Economia, proviamo a immaginare un futuro dopo la critica, di Roberto Romano e Paolo Pini, il manifesto e Sbilanciamoci.info, qui versione in MicroMega online, 1 settembre 2014
La sensazione e l’umore di molti economisti sono quelli delle cronache del “tormentato periodo che va dal 1929 al 1936 […] dove […] gli economisti accademici […] non avevano saputo offrire pressoché nessun suggerimento politicamente accettabile circa un piano d’azione governativo, in quanto essi erano fermamente convinti della capacità d’autoregolamentazione del meccanismo di mercato … l’economia prima o poi si sarebbe ripresa da sola, a patto che la situazione non venisse aggravata ulteriormente dall’adozione di un’errata politica economica, inclusa la manovra fiscale” (Hyman P. Minsky, Keynes e l’instabilità del capitalismo, 2009).
Dalla critica al progetto. Note a Romano e Pini, di Stefano Lucarelli, Sbilanciamoci.info, 11 settembre 2014 (ma scritto il 19 agosto)
L'agosto 2014 è stato un mese in cui l'incertezza geopolitica, innegabile dopo la creazione del nuovo Fondo Monetario per i BRICS, apre presumibilmente degli spazi analitici e politici che forse sta cogliendo anche il Presidente del Consiglio italiano, che tra i consueti "ma" e "però" tipici dei retori impegnati a non scivolare sugli specchi, mette di fatto in discussione la politica fiscale e monetaria europea.
Quali alternative al neoliberismo?, di Massimiliano Lepratti, Sbilanciamoci.info, 29 agosto 2014
Nonostante la gravissima crisi in corso il campo delle teorie critiche non riesce a offrire un orientamento che metta in crisi l'egemonia culturale del neoliberismo
Povertà dei governati, miseria dei governanti, di Pier Giorgio Ardeni, Sbilanciamoci.info, 11 settembre 2014
Questo breve articolo non prende spunto da una notizia, ma da un dato che non fa più notizia: "se non verrà fatto nulla per cambiare la tendenza, entro il 2025 in Europa ci saranno 146 milioni di persone 'a rischio di povertà', cioè tra il 25 e il 33 per cento della popolazione".
Per uscire dalla crisi meno diritti e libertà, di Massimo Villone, il manifesto, 26 agosto 2014
Spetta alla sinistra avanzare progetti alternativi (se ne ha). Ai giuristi il compito di difendere la Costituzione dai tentativi dei governi di limitare i poteri del parlamento
Politica economica europea, che fare?, di Claudio Gnesutta, il manifesto, inserto Sbilanciamo l'Europa, 5 settembre 2014
In pre­senza di poli­ti­che di auste­rità che pro­muo­vono una società strut­tu­ral­mente più disu­guale, la rispo­sta poli­tica deve essere «biso­gna cam­biare» per evi­tare il defi­ni­tivo dete­rio­ra­mento della tra­di­zione costi­tu­zio­nale euro­pea fon­data sull’eguaglianza nei diritti e nei doveri di tutti i cit­ta­dini. L’attuale poli­tica eco­no­mica euro­pea non è infatti una poli­tica con­giun­tu­rale, ma è la gestione con­sa­pe­vole di una tran­si­zione verso un modello di società euro­pea di mer­cato sulla cui pro­spet­tiva non vi è un dibat­tito espli­cito, e tanto meno demo­cra­tico. La visione alter­na­tiva di poli­tica eco­no­mica non può essere ridotta alla mera stru­men­ta­zione tec­nica, ma va inter­pre­tata quale espres­sione di una pro­spet­tiva di società fon­data sull’inclusione sociale e sullo svi­luppo delle per­sone e come tale impone di ride­fi­nire i mec­ca­ni­smi di produzione-distribuzione del red­dito al fine di soste­nere il sistema di wel­fare, anche se a costo di un ridi­men­sio­na­mento della crescita.
Goofynomics: La mia risposta a Paolo Pini (che stimo fino a prova contraria), di Alberto Bagnai, 16 settembre 2014
(ho ricevuto da Paolo Pini, che non conosco personalmente, una lettera che, non essendo personale, ritengo di poter pubblicare. Anche la mia risposta non è personale e desidero sia pubblica, quindi la trovate subito dopo, così si sbajo me corigerete...) . Caro Paolo, rispondo solo a te, che non conosco personalmente (spero di aver l'occasione). La mia risposta è molto semplice: io che c'entro? Tutto quello che ho scritto tre anni fa o si è avverato o si sta avverando: dalla cacciata di Berlusconi all'arrivo della Le Pen agli scricchiolii della Germania passando per il massacro dei diritti dei lavoratori. ....
Austerity and the Hapless Left, di Paul Krugman, NYT, 29 agosto 2014
But I’m just making suggestions here. The haplessness of the European left is still something I don’t fully understand.
L'euro al passaggio tra Scilla e Cariddi, di Paul Krugman, tradotto e pubblicato in Il Sole24Ore, 7 settembre 2013
[...] Dove sono, nella sinistra europea, i grandi personaggi politici pronti a combattere politiche disastrose? I laburisti britannici sono quasi surreali nella loro reticenza a contestare i precetti fondamentali delle politiche del primo ministro Cameron. E c'è qualcuno che sta facendo di meglio? L'amministrazione Obama, anche se non usa la parola "stimoli", al concetto in sé è favorevole, e in generale la sinistra americana ha preso una posizione molto più chiara contro l'ortodossia delle moneta forte e del pareggio di bilancio rispetto alle sinistre europee [...]
The Structural Fetish, di Paul Krugman, NYT, 9 settembre 2014,
The FT has a pretty decent article on the emerging doctrine of “Draghinomics”, which looks a lot like Blanchardnomics, which looks a lot like Krugmanomics — hey, we all studied macro at MIT in the mid 1970s.
Quelle lezioni sbagliate, di Paul Krugman, IlSole24Ore, 20 settembre 2014 (tratto da NYT, 9 settembre 2014)
Il Financial Times recentemente ha pubblicato un articolo piuttosto ben fatto sulla dottrina emergente della Draghieconomia, che assomiglia molto alla Blanchardeconomia, che assomiglia molto alla Krugmaneconomia (ma del resto abbiamo tutti studiato macroeconomia al Mit a metà degli anni 70). C'è un passaggio, però, che mi ha colpito: «Un altro alto funzionario dell'Eurozona che ha partecipato al forum italiano che mette insieme policymakers, imprenditori e studiosi ha detto: le riforme strutturali sono fondamentali. I Paesi che hanno fatto questi sforzi - Irlanda, Spagna e Portogallo - stanno andando meglio. L'Italia e la Francia farebbero bene a ragionare su questo aspetto»...........
The Inflation Cult, di Paul Krugman, NYT, 11 settembre 2014
[...] In an important sense, I’d argue, the persistence of the inflation cult is an example of the “affinity fraud” crucial to many swindles, in which investors trust a con man because he seems to be part of their tribe. In this case, the con men may be conning themselves as well as their followers, but that hardly matters. [...] But what about the economists who go along with the cult? They’re all conservatives, but aren’t they also professionals who put evidence above political convenience? Apparently not. [...]The persistence of the inflation cult is, therefore, an indicator of just how polarized our society has become, of how everything is political, even among those who are supposed to rise above such things. And that reality, unlike the supposed risk of runaway inflation, is something that should scare you.
How to Get It Wrong, di Paul Krugman, NYT, 14 settembre 2014
It seems to me, however, that it’s important to realize that the enormous intellectual failure of recent years took place at several levels. Clearly, economics as a discipline went badly astray in the years — actually decades — leading up to the crisis. But the failings of economics were greatly aggravated by the sins of economists, who far too often let partisanship or personal self-aggrandizement trump their professionalism. Last but not least, economic policy makers systematically chose to hear only what they wanted to hear. And it is this multilevel failure — not the inadequacy of economics alone — that accounts for the terrible performance of Western economies since 2008.............
La disfatta degli economisti, di Paul Krugman, La Repubblica, 16 settembre 2014 (traduzione di "How to Get It Wrong", NYT, 14 settembre 2014)
Quasi nessuno ha pronosticato la crisi del 2008. Anzi, molti hanno giurato che una congiuntura del genere non si sarebbe mai potuta verificare. In pochi, poi, hanno fatto autocritica. Spesso faziosi, si sono allontanati più volte dalle teorie tradizionali. E i risultati adesso sono sotto gli occhi di tutti.
Why Firms Avoid Cutting Wages, Policy Research Working Paper, luglio 2014, World Bank Group
Firms very rarely cut nominal wages, even in the face of considerable negative economic shocks. This paper uses a unique survey of fourteen European countries to ask firms directly about the incidence of wage cuts and to assess the relevance of a range of potential reasons for why the firms avoid cutting wages. The paper examines how firm characteristics and collective bargaining institutions affect the relevance of each of the common explanations put forward for the infrequency of wage cuts. Concerns about the retention of productive staff and a lowering of morale and effort were reported as key reasons for downward wage rigidity across all countries and firm types. Restrictions created by collective bargaining were found to be an important consideration for firms in Western European (EU-15) countries but were one of the lowest ranked obstacles in the new EU member states in Central and Eastern Europe.
Tagliare i salari? Le imprese non lo fanno, di Carlo Clericetti, Blog Soldi e Potere, la Repubblica, 17 agosto 2014
Per guadagnare competitività bisogna ridurre il costo del lavoro, tagliando i contributi sociali, e anche le retribuzioni. Questa la ricetta di Guido Tabellini, ex rettore della Bocconi e il più autorevole tra gli economisti che dovrebbero formare la “cabina di regia” del presidente del Consiglio Matteo Renzi.
La corsa ai salari e alle pensioni, di Giorgio Lunghini, Sbilanciamoci.info, 29 agosto 2014
Promuovere la crescita tagliando salari e pensioni? L’unico effetto di bassi salari saranno alte rendite e alti profitti, con l'aumento della speculazione finanziaria
John Maynard Keynes’s Private Letter to Franklin Delano Roosevelt of February 1, 1938
Dear Mr. President, You received me kindly when I visited you some three years ago that I make bold to send you some bird’s eye impressions which I have formed as to the business position in the United States. You will appreciate that I write from a distance, that I have not revisited the United States since you saw me, and that I have access to few more sources of information than those publicly available. But sometimes in some respects there may be advantages in these limitations! At any rate, those things which I think I see, I see very clearly. [...]
J.M. Keynes, tratto dal capitolo 19, dedicato ai Cambiamenti dei salari nominali, della "Teoria generale".
“Alla luce di queste considerazioni sono adesso dell’opinione che il mantenimento di uno stabile livello generale dei salari monetari è, tutto sommato, la politica più consigliabile per un sistema chiuso; mentre la stessa conclusione varrà per un sistema aperto, purché l’equilibrio con il resto del mondo possa essere assicurato mediante fluttuazione dei cambi. Vi sono alcuni vantaggi in un certo grado di flessibilità dei salari di industrie particolari, in quantochè in tal modo vengono accelerati i trasferimenti da quelle industrie che vanno relativamente declinando a quelle che vanno relativamente espandendosi. Ma il livello complessivo dei salari monetari dovrebbe mantenersi stabile finché è possibile, almeno in periodi brevi. […] In periodi lunghi, d’altra parte, ci rimane ancora da dover scegliere fra una politica che consenta ai prezzi di discendere lentamente col progresso della tecnica e degli impianti, mantenendo stabili i salari, e una politica che consenta ai salari di salire lentamente, mantenendo stabili i prezzi. In complesso la mia preferenza è per questa seconda alternativa, a causa della circostanza che il mantenere il livello effettivo dell’occupazione vicino, entro certi limiti, a quella dell’occupazione piena è più facile con un’aspettativa di maggiori salari futuri che con un’aspettativa di salari minori; oltreché a causa dei vantaggi sociali della progressiva diminuzione del gravame dei debiti, della maggiore facilità di aggiustamento fra le industrie decadenti e le industrie in espansione, e dell’incoraggiamento psicologico che probabilmente si sentirà in conseguenza di una moderata tendenza all’aumento dei salari monetari” (Keynes, 1953, cap.19, sez. III, pp.238-239).
Zingales: “Sbagliato tagliare i salari”, di Carlo Clericetti, Blog Soldi e Potere, la Repubblica, 6 settembre 2014
I duri colpi della crisi che non passa cominciano finalmente a fare breccia nel fronte degli economisti neoliberisti. Dopo Francesco Giavazzi e Guido Tabellini, adesso è Luigi Zingales, nella sua rubrica su L’Espresso, a prendere una posizione in contrasto con l’ortoddossia della teoria tuttora dominante.
Bisogna fermare il rilancio dei liberisti, di Gabriele Pastrello, il manifesto, 10 settembre 2014
L’«austerità espansiva» elaborata da Alesina e sposata dalle istituzioni europee è fallita. Ma ora, senza autocritica, gli stessi economisti che ci hanno portato al disastro preparano un’altrettanto tragica «fase due»
Contemporary Keynes, di Andrea Boitani, in Eutopia. Ideas for Europe Magazine, 15 settembre 2014
When the 2008 financial crisis struck, both US policy makers and central bankers were quick to resume distinctively Keynesian policies to stop the recession and help the unemployed. ........... - See more at: http://www.eutopiamagazine.eu/en/andrea-boitani/speakers-corner/contemporary-keynes#sthash.ExWN0wZH.dpuf see: http://www.eutopiamagazine.eu/en/andrea-boitani/speakers-corner/contemporary-keynes
La nemesi storica del capitale. Intervista a Christian Marazzi, di Gigi Roggero, Quaderni di San Precario, 16 settembre 2014
Nonostante che si parli di necessità della crescita, le politiche economiche adottate in Europa sotto l’input tedesco vanno nella direzione opposta e la situazione rimane sempre critica. Christian Marazzi sottolinea come tale situazione prefiguri una sorta di nemesi del capitale. La sconfitta della classe operaia fordista negli ultimi trent’anni si ritorce oggi contro lo stesso capitale, orfano di un rapporto sociale antagonista che ne consentiva comunque la perpetuazione. La desalarizzazone e la decontrattualizzazione del lavoro (in una parola, la precarietà) è oggi infatti la causa principale del cul de sac in cui si dibatte la crisi, soprattutto europea.
How The Rich Rule US Democracy, di Dani Rodrik, Social Europe Journal, 15 settembre 2014
[...] But another, more pernicious, part of the answer may lie in the strategies to which political leaders resort in order to get elected. A politician who represents the interests primarily of economic elites has to find other means of appealing to the masses. Such an alternative is provided by the politics of nationalism, sectarianism, and identity – a politics based on cultural values and symbolism rather than bread-and-butter interests. When politics is waged on these grounds, elections are won by those who are most successful at “priming” our latent cultural and psychological markers, not those who best represent our interests. [...]
Europa, una minaccia credibile per cambiare rotta, di Sergio Bruno, Sbilanciamoci.info, 16 settembre 2014
Regole fiscali, austerity, pareggio di bilancio in Costituzione. E, dopo l’Ecofin di Milano, arriva un diretto controllo europeo sull’attuazione delle riforme su giustizia, mercato del lavoro e burocrazia. Un continuo rialzo della posta a cui non corrisponde alcuna proposta politica di rilancio e integrazione dell'Europa. [...] Di qui la mia perplessità iniziale: forse è giunto il momento di lasciare euro ed Europa. Siamo in presenza di una escalation, cha cambia continuamente il terreno di confronto chiamando in causa ora il bilancio, ora i comportamenti della Bce, ora le riforme, ma che persegue una costante strategia di fondo. Perché questa deriva dovrebbe arrestarsi, visto che non vi è stato neanche un momento di breve pausa in questi tre anni? Non è quindi l’oggi a preoccuparmi (per ora gliela facciamo ancora a sopportare euro e questa Europa), ma il domani. Nessuno che cominci a dare garanzie che si possa costruire un’Europa in cui io voglia vivere e far vivere i miei nipoti, che assomigli a ciò che concepirono i padri fondatori. Non si può continuare a sopravvivere nella paura del passo successivo degli eurocrati e dei falsi politici. E non è forse l’ora di cominciare a prepararsi ad una uscita ordinata e controllata, visto il tempo che ci vuole a preparare queste cose? E non è forse questa la strada per cominciare a costruire una minaccia credibile, la sola arma che può convincere i politici ad un radicale cambiamento di rotta?
Transatlantic Austerity 2010-13. A Comparative Assessment, di Roberto Tamborini, LUISS Guido Carli - School of European Political Economy, Working Paper 4/2014
Drawing on a large data collection, this paper offers a comprehensive assessment of fiscal austerity in twenty major countries in the Transatlantic area in the aftermath of the Great Recession of 2008-09. Countries include the twelve early Euro members, six other members of the European Union, and the two North-American countries. The paper is organized in two parts. First, an index of austerity is proposed based on the contraction of the public sector's net contribution to the economy. Then, there follows an assessment of austerity under the two dimensions of the improvement of public finances and interest rates, and of the collateral effects on economic activity and employment. The assessment is accompanied by reasoned discussion of the theoretical motivations and underpinnings of fiscal austerity and relevant criticisms. The main conclusion is that austerity in general has so far missed its promised goals, for 1) except budget deficits, public finances have further deteriorated, 2) countries under stronger austerity have achieved neither consolidation nor faster recovery but rather lower shock absorption, worse recovery performances, and higher unemployment. Claims that austerity failures are due to country-specific factors, such as mistakes in implementation and pre-crisis structural weaknesses, are not supported by robust evidence.
Expansionary Fiscal Consolidatio, di Pasquale Foresti e Ugo Marani, in Contributions to Political Economy, n.2, 2014, pp.1-15
This paper deals with theoretical foundations justifying alleged expansionary effects of fiscal consolidations. In some European countries there have been episodes of fiscal retrenchments followed by an increase in output (Sweden, Ireland, Denmark, and Finland). These have been taken as a starting point for theories advocating, contrary to the Keynesian tradition, the possibility of a negative sign of the fiscal multiplier. We show that expansionary fiscal consolidations can occur under extreme circumstances: they are not the result of pure fiscal policies, but rather they result from a policy mix in which the central bank’s behaviour is crucial. On the basis of this evidence we discuss why, given the current economic scenario, immediate austerity cannot be a plausible way out from the recession in the euro-area countries.
Cappellin R., Marelli E., Rullani E. e Sterlacchini A. (2014), a cura di, Crescita, investimenti e territorio: il ruolo delle politiche industriali e regionali, eBook 2014.1
Contributi di: Leonardo Becchetti, Marco Bellandi, Patrizio Bianchi, Andrea Bollino, Roberto Camagni, Roberta Capello, Riccardo Cappellin, Stefano Casini Benvenuti, Enrico Ciciotti, Romeo Danielis, Alfredo Del Monte, Sergio Destefanis, Marco Frey, Sandrine Labory, Enrico Marelli, Marco Mutinelli, Alessandro Petretto, Francesco Prota, Enzo Rullani, Alessandro Sterlacchini, Gianfranco Viesti https://www.facebook.com/crescitainvestimentiterritorio
The European Crisis and the role of the financial system, Speech by Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB, at the Bank of Greece conference on “The crisis in the euro area” Athens, 23 May 2013
Invito alla lettura a cura di Alberto Bagnai. Carissimi, A me pare che il discorso sull'austerità (espansiva o restrittiva che sia) abbia perso molta rilevanza nel momento in cui la stessa Bce ha placidamente ammesso che il problema non è il debito pubblico ma l'interazione fra finanza privata e "design" dell'Eurozona (salvo ovviamente proporre soluzioni peggiori del male, ma questa è un'altra storia. Per vostra memoria, quanto vi richiamo è successo qui: http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130523_1.en.html). Ora, questo non vuole essere un tentativo di sminuire i vostri pregevolissimi lavori che mi leggerò e ai quali cercherò nel mio piccolo di dare il massimo risalto (vi ricordo, peraltro, che qualora voleste contribuire, i working papers e il blog di asimmetrie sarebbero a vostra disposizione per diffondere versioni "professionali" o "divulgative" dei vostri interventi, e vi ricordo altresì che sono piattaforme più visitate de lavoce.info, e col vostro contributo potrebbero rapidamente diventare più prestigiose). È opportuno e anzi necessario che certe tesi vengano confutate nelle sedi scientifiche e con metodo scientifico come voi fate. Ma perché a "sinistra" nessuno (tranne me, se sono ancora a sinistra) ha colto al balzo la palla lanciata da Constancio? Questo era ciò a cui alludevo nel mio messaggio polemico (dopo tre anni sono un po’ stanco, vorrete scusarmi) quando dicevo che ormai la stessa Bce ha sorpassato "a sinistra" la sinistra italiana. Mi spiego: in sede politica e dialettica (quindi non scientifica e analitica), a mio avviso, continuare a menarla con questa storia dell'austerità è controproducente. Significa mettersi sullo stesso piano di quel simpatico buontempone di De Nicola (Società Adam Smith, daje a ride...), ragionando dentro al perimetro tracciato da Giannino (Statoladroooooo). Lo facciamo, ovviamente, per contestarlo, va da sé, quando però sarebbe secondo me molto più efficace politicamente, e farebbe emergere molte più contraddizioni, far notare che ormai il perimetro è altrove (sul design dell'Eurozona e sul ruolo della finanza privata, non pubblica: privata, non pubblica!), ed è altrove perché ce l'ha portato la stessa Bce. A me sembra una cosa dirompente, ma, si sa, io non son fatto per la politica (and proud of it). Vi ringrazio per l'attenzione e mi scuso per il disturbo. In amicizia. Alberto P.s.: se andate a vedere i commenti dei miei lettori al penultimo post, capirete che esiste un rischio concreto che quando le nostre università verranno chiuse dalla trojka (avete amici in Grecia?) non riusciremo a trovare eccessiva solidarietà nella popolazione. Anche su questo vi chiedo una riflessione in camera caritatis. Il mio post più letto (ed è diventato tale in due settimane) è stato quello in cui in modo poco elegante e con i toni inappropriati che mi sono ahimè consueti rinfacciavo all'Unità di aver acclamato Monti come un liberatore. A sinistra c'è una voglia di sinistra della quale temo non tutti afferrino l'estensione e il potenziale. Oppure sono io che mi faccio illusioni. ------------------------------------------------------------------------------------------------- Introduction Let me begin by thanking the Bank of Greece for inviting me to this important conference attended by so many prestigious researchers. There are, of course, several narratives and interpretations about the way the crisis unfolded in the euro area. For some, it is mostly a story of unsound fiscal policies and excessive sovereign debt; for others, it is principally a story of competitiveness losses engineered by uncontrolled unit labour costs; and for others still, it is essentially a traditional balance of payments crisis in a “fully fixed“ exchange rate regime. In more recent years, the narrative of seeing it as a banking crisis has gained attention, combining it with the sovereign debt crisis to create a story of “two debt overhangs”.........................................
The European Crisis and the role of the financial system, Speech by Vítor Constâncio, Vice-President of the ECB, at the Bank of Greece conference on “The crisis in the euro area” Athens, 23 May 2013
Qui trovate le slide dell'intervento
Stop Structural Reforms And Start Public Investment In Europe, di Paul De Grauwe, Social Europe Journal, 17/09/2014
Slow growth in the Eurozone has become endemic since the start of the sovereign debt crisis in 2010. This is made very clear in Figure 1, which contrasts the growth experience of the Eurozone with the non-Eurozone EU-member countries since the start of the financial crisis in 2007. What is striking is that up to the Eurozone sovereign debt crisis of 2010 the growth experiences of the Eurozone and non-Eurozone countries in the EU were very similar. Both groups of countries saw their boom collapse and turn into a deep recession in 2008-09. Both recovered relatively quickly in 2010. Since 2011, however, the two groups of countries depart. The Eurozone experienced a new recession and since then has experienced a growth rate that on average has been 2% below the growth rate of the EU-countries that are not part of the Eurozone....................
Un social compact per sterzare a sinistra, di Giorgio Airaudo, il manifesto, 17 settembre 2014
"«Lavoro e libertà». Il pamphlet di Stefano Fassina che in dieci punti declina la battaglia politica contro il vangelo liberista per un "global new deal" che rimetta al centro il valore del lavoro e della persona" Si tratta di una recensione ragionata dell'ultimo libro di Fassina. Un invito alla lettura da partre nostra
La crisi economica e l’“interventismo liberale”, di Enzo Di Nuoscio, Menabò EticaEconomia, 15 settembre 2014
Enzo Di Nuoscio riflettendo sui rapporti tra Stato e mercato sostiene che la sinistra dovrebbe ispirarsi di più alla tradizione dell’interventismo liberale, rivedendo il suo rapporto con quello che egli chiama statalismo. Questo intervento di Di Nuoscio è il primo che il Menabò ospita sul tema cruciale dei rapporti tra stato e mercato. Altri ne seguiranno, in un dibattito che ci auguriamo ricco e plurale.
Deindustrializzazione, finanza e crisi. Il rilancio del manifatturiero ed il ruolo dell'Italia, di Roberto Panizza, La Comunità Internazionale della Sioi, n.1, 2013
In this article, the author highlights the mistakes made by the major Western industrialized countries in dismantling their industrial and manufacturing sectors in favour of the expansion of the financial sector. The continuing concentration on financial operations, as a means to overcome the crisis that has hit Western capitalist system, is exacerbating the gap in performance between different national economies, to the benefit of those on the rise, such as China and India, with important differences in terms of growth rates and strength within international markets. The authors highlights not only the causes of the West’s industrial crisis, but also the strengths of different industrial systems, such as that of Italy, the features which could provide the right solution to the recession and its worst consequences, such as high unemployment and deteriorated standards of living. In this analysis of the Italian industrial system, the crucial role of districts as a winning factor emerges, because this can ensure innovation and openness to foreign markets, in response to the decline in output and domestic demand due to the marked decline in income. The author argues that in the face of a national emergency, it is necessary to work out a coherent industrial policy which responds to the real needs of the country, by focusing on the real strength of the Italian system. This means a fundamental shift away from the ever-increasing emphasis on the growth of the financial sector of the economy and a return to the expansion of industrial sector and manufacturing as strategic engines to recover from the global crisis.
“Domestic demand and global production in the Eurozone: A multi-regional input-output assessment of the global crisis”, di Nadia Garbellini, Enrico Marelli e Ariel Wirkierman, in International Review of Applied Economics, Volume 28, Issue 3, 2014
Abtract. This paper studies the effects of domestic and foreign demand impulses in euro area economies following the Great Recession of 2008–2009 and the Eurozone crisis of 2011–2012. Using a global Input–Output framework we apply a set of metrics to assess spillover effects of international trade in intermediates triggered by the dynamics of final demand. Our findings suggest that while cross-country trade spillovers have played a crucial role during the Great Recession, they have had a moderate impact when compared with the role of domestic sources of final demand during the Eurozone crisis. Hence, a strategy of coordinated fiscal austerity cannot be sustained by empirical evidence.
Uscire o no dall’euro: gli effetti sui salari, di Emiliano Brancaccio e Nadia Garbellini - 19 maggio 2014 - economia e politica
Uno studio sugli effetti salariali e distributivi della permanenza o dell’uscita dall’euro. Il pericolo di una “grande inflazione” in caso di uscita, evocato da Draghi, non trova riscontri adeguati. Ma anche l’opinione secondo cui gli effetti salariali e distributivi di un abbandono dell’euro non dovrebbero destare preoccupazioni è smentita dalle evidenze empiriche. Se si vuole salvaguardare il lavoro, la critica della moneta unica deve essere accompagnata da una critica del mercato unico europeo.
Why Italy’s stagnation could be the future for the entire eurozone, di Riccardo Bellofiore, The Guardian, 30 agosto 2014
Monetary reform alone can’t kickstart the European economy. It needs something more radical 'The European economy as a whole needs expansionary policies together with credit, industrial and regional policies. None of this is on the horizon.”
Why Italy’s stagnation could be the future for the entire eurozone, di Riccardo Bellofiore, The Guardian, 30 agosto 2014
This summer Italy fell into a triple-dip recession. After the 2008/09 collapse, the economy stagnated, heading back into recession during 2011 and never really recovering. The philosophy of Giulio Tremonti, who was the economic minister at the time, was to wait and see, until speculation killed Berlusconi’s government. Prime ministers Mario Monti and Enrico Letta followed Brussels’ self-defeating diktat for fiscal rigour, but even with moderate deficits the public debt/GDP ratio soared.........................
A crisis of capitalism, di Riccardo Bellofiore, The Guardian, 21 settembre 2011
The financial problems plaguing Europe and Italy are not home-grown. They are part of a global attack on labour
A crisis of capitalism, di Riccardo Bellofiore, The Guardian, 21 settembre 2011
The financial problems plaguing Europe and Italy are not home-grown. They are part of a global attack on labour
Euro al capolinea? Riccardo Bellofiore, Francesco Garibaldo, Inchiesta, ottobre 2013 (ripreso da SINISTRAINRETE)
Il libro di Alberto Bagnai (Il tramonto dell’euro. Come e perchè la fine della moneta unica salverebbe salverebbe democrazia e benessere in Europa, Imprimatur , Roma 2012) è un libro utile sia lo si condivida nelle sue tesi di fondo sia, come nel nostro caso, pur apprezzandone i meriti, si abbiano su punti chiave opinioni diverse.
Euro al capolinea?, di Riccardo Bellofiore e Francesco Garibaldo, Inchiesta, ottobre 2013 (ripreso da SINISTRAINRETE)
Il libro di Alberto Bagnai (Il tramonto dell’euro. Come e perchè la fine della moneta unica salverebbe salverebbe democrazia e benessere in Europa, Imprimatur , Roma 2012) è un libro utile sia lo si condivida nelle sue tesi di fondo sia, come nel nostro caso, pur apprezzandone i meriti, si abbiano su punti chiave opinioni diverse.........
A credit-money and structural perspective on the European crisis: why exiting the euro is the answer to the wrong question, Riccardo Bellofiore, Francesco Garibaldo, Mariana Mortagua, paper al EuroMemorandum 2014, Roma 25-27 settembre 2014 (draft)
This paper presents an analysis of the crisis combining a Marxian and a Financial Keynesian perspective. Both are framed in a long-run, structural perspective of the capitalist dynamics. Each crisis erupts because of the contradictions in the idiosyncratic factors explaining the ascent. We are experiencing the crisis not of a generic Neoliberalism or a void financialisation, but of a money manager capitalism, which was built upon a concentration without centralisation of capital, new forms of corporate governance, aggressive competition, a capital market inflation, indebted consumption. A world able to gain in new forms the same good (or rather, bad) old exploitation, to provide internally demand, and to present itself as a stable Great Moderation. It can be characterised as a financially privatised Keynesianism, based on a new monetary policy and a new autonomous demand driving the process, a configuration which was necessarily unsustainable. Its crisis is evolving from a Great Recession to a Lesser Depression.
Lunghini, Viale: riscoprire Keynes o andare oltre?, Inchiesta online, 10 aprile 2012
DIBATTITO SU KEYNES Su Il manifesto sono stati pubblicati due articoli, uno di Giorgio Lunghini e l’altro di Guido Viale) che presentano due tesi diverse in relazione a Keynes. Su Keynes apriamo su Inchiesta un dibattito
Market Reforms at Work in Italy, Spain, Portugal and Greece, EUROPEAN ECONOMY n.5, 2014, Economic and Financial Affairs
EXECUTIVE SUMMARY As part of the response to the crisis, a significant number of market reforms were introduced to boost economic activity and competitiveness. The intense reform effort appears to be showing early signs of effectiveness in some of Europe’s most vulnerable countries. Insufficient reform efforts in the years before the crisis has hampered the ability of many countries to adjust and made their current need for reforms all the more urgent. Vulnerable countries such as Italy, Spain, Portugal and Greece were more exposed because existing rigidities in product markets added to the difficulties their economies encountered when hit by the financial crisis. Structural reforms improve an economy’s flexibility and increase the efficiency of how and where productive factors are used. However, for reforms to deliver their full impact, the channels through which their effects are transmitted throughout the economy need to work properly. Well-functioning transmission mechanisms require that firms can enter and grow unimpeded and that inefficient ones can restructure or exit without hurdles; that prices and mark-ups are flexible enough to properly act as signalling devices; and that reallocation of resources takes place towards the most productive uses and activities. If the chain of transmission is hampered, the expected impact of a reform will not materialise. This report focuses on estimating the potential impact of a selection of market reforms and provides first signs that suggests a positive response in the four countries. Cut off dates for various parts of the study vary depending on the availability of data but in some cases information has been taken into account as recently as April 2014. Indicators measuring the overall regulatory environment show that Greece and Portugal are among the largest reformers: between 2008 and 2013, the two countries led the reform effort according to the OECD Product Market Regulation indicator. Italy and Spain, that started from a more favourable regulatory situation, also improved their regulatory environment over the same period. For the four countries though, the distance with other Member States with the most flexible regulatory framework in product markets is still significant. A look at traditionally protected sectors in detail reveals that although Italy, Spain, Portugal and Greece have done much to reform their professional services sectors, there is ample room for further reductions when compared to countries such as the UK or Finland. The four economies are adjusting at different rhythms. The large reallocation of resources observed before the crisis towards low-productivity non-tradable activities has come to a halt in Spain, Portugal and very recently in Italy. This is good news for the correction of external imbalances. In the years leading up to the crisis, the amount of labour resources absorbed by non-tradable activities increased by over 5 percentage points in Greece and Spain: from 38 % to 44 % in Greece, and from 47 % to 52 % in Spain (between 2000 and 2007). Although market reforms typically take several years to bear fruit, encouraging signs are already visible in Europe’s most vulnerable economies as shown by short-term monitoring indicators. In Spain, efforts to reduce the cost and complexity of registering new companies seem to have yielded results, as the entry rate for micro firms (firms with less than nine employees) in the retail sector rose significantly, from 9.4 % to 11.7 % between 2010 and 2013. Service sector liberalisation may have helped to attract many new foreign companies, particularly to the country’s scientific and professional services sectors, despite a recession. The length of insolvency proceedings has also been substantially reduced from an average of more than 2.5 years to just one year -for simplified procedures- helping banks to curtail the deterioration of their loan portfolios and helping entrepreneurs to move on. In Portugal, a pilot programme to replace authorisations and licensing procedures for the accommodation and the food and beverage sectors has contributed towards a 1 600 jump in the number of new firm registrations over the years 2011-2012 compared to 2009-2010. Public sector health authorities have slashed the amount of time they take to pay bills from 196 days in 2012 to 126 days in 2013. Reform of Portugal’s public procurement practices has also spread the use of public tenders, which should help get tax payers better value for money by fostering competition among bidders. Italy has made progress in many indicators of business environment regulation and is starting to see some tangible benefits, although the momentum for reforms seems to have slowed. Improvements in preinsolvency procedures, which allow companies to stay in business by providing creditor protection at an earlier stage, have been well received. Between their introduction in September 2012 and June 2013, almost 3 900 applications were submitted, far more than the 1 100 applications filed under the old scheme during the whole 2012. Measures to reduce late payments by public administrations remain very high but have improved slightly average payment duration from 190 days in 2012 to 180 days in 2013. Greece has made significant efforts to improve its business environment and continues to do so but monitoring the implementation and actual take-up of reforms is difficult due to a lack of data. The introduction of an electronic registry to simplify the creation of new businesses and the introduction of a new form of limited liability corporation that has no capital requirement may have helped Greece rise 110 places to 36th out of 189 in the World Bank’s Doing Business Report, the biggest improvement of any country between July 2012 and June 2013. There is also evidence to suggest that Greece’s efforts to liberalise its heavily protected professions have made some headway. In addition to reporting on these early signs of adjustment, the report presents a more in-depth empirical investigation of the effects of a number of reforms, selected on the basis of significance and data availability. Although the full effect of the reforms may not yet be visible, this analysis shows that the potential gains are significant. Gains estimated generally focus on microeconomic variables such as business dynamics and productivity. For a few reforms the impact on macro variables such as FDI and overall GDP is also estimated. Data from the four countries confirms the large benefits of the EU’s Services Directive and the power of business environment reforms. Reforms implemented by mid-2013 are estimated to boost labour productivity in the sectors affected by the Directive by around 4.3 % in Portugal, 5.7 % in Spain, 7 % in Italy and almost 9 % in Greece. Given that the directive covers an average of 40 % of GDP in the four countries, the full economy-wide effects should be considerable. The measures taken since 2011 to lower the administrative costs of starting a business and to make it easier for companies to export are estimated to stimulate the creation of new firms and increased entry rates by 1 percentage point in Spain, 0.7 percentage points in Portugal and 0.5 percentage points in Italy. This reform could bring over 20 000 new firms in Italy and Spain. The efficiency of justice is a fundamental consideration when making investment decisions or launching new business operations. Efforts to decrease the average length of trials and the backlog of court cases therefore bring significant positive economic effects. A 10 % reduction in trial lengths has the potential to increase the entry rate of firms by almost 1 percentage point. Over the period 2010-2012 only Portugal and Spain decreased trial lengths (by 10.7 %and 8.1 %, respectively). Estimates for Italy, Spain and Portugal (no data was available for Greece) show that the liberalisation of protected professions has benefits for economic efficiency. In Spain, for example, reforms to professional services could trigger a restructuring of the sector leading to an estimated increase in the legal sector’s efficiency by 2 percentage points, which will translate into a substantial gain in labour productivity. Gains are even larger for Italy. The study also suggests that reforms to ensure that public authorities pay their bills within a reasonable time frame can have a real impact on the survival of many companies. Reforms introduced in Portugal to reduce late payments are estimated to have averted the exit of 4900 companies from the market between 2010 and 2013. Reforms encouraging the digital economy appear to be paying off too. The auctioning of mobile telephony frequency spectrums has contributed to a 27.4 % fall in the cost of mobile phone usage in Portugal and a 26.9 % fall in the cost in Italy. Altogether, the combined effect of measures covering radio spectrum allocation as well as improvements in e-skills, e-commerce and fixed broadband are estimated to have a long term impact on GDP amounting to 1.5 % in Italy, 1 % in Portugal, 0.9 % in Spain and 0.6 % in Greece. Boosting economic activity and competitiveness through targeted market reforms is a central part of the EU’s response to the crisis and it is encouraging that market reforms underway in four of Europe’s most vulnerable economies are showing early signs of success. The full gains of reforms adopted by the four countries are estimated to be significant though there is plenty of scope to do more.
La morale della favola irlandese quattro anni dopo, di Alberto Bagnai, 18 settembre 2014, Goofynomics (tratto da SINISTRAINRETE)
Nei miei primi interventi su lavoce.info l'atmosfera era assolutamente professionale, fact based e molto stimolante. Non so se ricordate La morale della favola irlandese. Quando lo pubblicai, i miei colleghi di dipartimento mi guardarono con altri occhi: "Hai pubblicato su lavoce.info!" (be', com'è andata poi lo sapete, comunque se Boeri vuole mandarci un lavoro io glielo pubblico...).
PKSG Post-Keynesian Economisc Study Group
The UK Forum for Post-Keynesian Economics. PKSG was founded in 1988 by Philip Arestis and Victoria Chick with the support of the UK Economic and Social Research Council (ESRC). The purpose of the Study Group is to encourage collaboration among scholars and students of Post Keynesian economics, defined broadly as a theoretical approach that draws upon the work of Keynes, Kalecki, Joan Robinson, Kaldor, Kahn and Sraffa. This approach is distinguished by the central role of the principle of effective demand (that demand matters in the long run) and an insistence that history, social structure and institutional practice be embodied in its theory and reflected in its policy recommendations. These aims broadly correspond to those of Cambridge Journal of Economics, Journal of Post Keynesian Economics, Review of Keynesian Economics, Review of Political Economy and European Journal of Economics and Economic Policies: Intervention. PKSG produced a newsletter for three years from 1995–97 (issues 1–4 with an historical introduction by Fred Lee, issues 5–7), which included a wide variety of news, discussion, review articles and abstracts of papers and conferences. The progress of technology has now made this website feasible as a similar platform for the activities of the Group. A review of the first 20 years of PKSG was published in EJEEP as Hayes (2008). The listings of speakers and papers given at PKSG meetings from 1994-2006, referred to in that paper, are available.
Rethinking Economics Italia
A Global Student Call for Pluralism in Economics. Negli ultimi sette anni, con gli effetti della crisi finanziaria sotto gli occhi di tutti, un’altra crisi economica, con implicazioni profonde per tutti noi, è passata quasi inosservata: la crisi teorica dell’economia e del suo stesso insegnamento. La stagnazione dell’offerta didattica e di una pedagogia ridotta e riduttiva dura ormai da decenni, nonostante ripetuti sforzi, da parte degli studenti, volti a cambiare questa situazione. Ora, nel pieno della crisi finanziaria globale, tali iniziative studentesche hanno trovato nuova linfa ed una rinnovata energia in diversi paesi tra cui Argentina, Austria, Brasile, Canada, Cile, Danimarca, Francia, Germania, India, Inghilterra, Israele, Italia, Nuova Zelanda, Scozia e Stati Uniti. Cosa più importante, gli studenti coinvolti in queste iniziative hanno trovato una causa comune nella promozione di un vero insegnamento plurale dell’economia. ............
"Crescita, Investimenti, Territorio", Policy Workshop AISRe
Policy Workshop AISRe: 1) Milano 9 luglio 2014; 2) Padova 12 settembre 2014 Materiali di discussione
Sbilanciamo l'Europa, Sbilanciamoci!
A questo link tutti gli inserti di Sbilanciamo L'Europa, il manifesto, primo numero 24 gennaio 2014
Sbilanciamoci.info
Siamo un gruppo di economisti, ricercatori, giornalisti, studenti, operatori sociali, sindacalisti; e una rete di associazioni, organizzazioni, movimenti, che in gran parte fa capo alla campagna Sbilanciamoci! Vogliamo conoscere, discutere e analizzare criticamente i fatti dell’economia. Sapere tutto il possibile sul sistema economico nel quale viviamo, progettare tutto il possibile del sistema economico nel quale vorremmo vivere. Ecco perchè proponiamo un nuovo strumento di comunicazione web sulle alternative economiche: un portale che mette in evidenza e aggiorna quel che offrono altri siti e fonti di interesse, che mantengono la loro autonomia; un sito di informazione economica e sociale, che raccoglie e propone i contributi della nostra rete di collaboratori; una newsletter elettronica che ogni settimana raggiunge chi è interessato con una sintetica offerta degli aggiornamenti del sito. L'informazione economica soffre di un deficit di democrazia e trasparenza, e il dibattito sulle prospettive dell’economia e della politica è troppo concentrato nelle teste e nei mezzi di informazione di pochi. Vogliamo riequilibrare la diffusione delle informazioni, allargare il loro campo e aprire il dibattito a punti di vista diversi; conoscere, aggiornare e valorizzare gli strumenti della politica economica nell’economia globalizzata; ripensare l’agenda degli obiettivi della politica economica e della politica tout court, sull’urgenza del cambiamento climatico e degli squilibri nella distribuzione mondiale della ricchezza e del reddito; raccontare e analizzare sperimentazioni pratiche di nuovi modelli economici e organizzativi. La nostra iniziativa parte da realtà organizzative e informative già esistenti e dalla volontà di superarne le separatezze, mettendo in rete nel modo più aperto possibile le nostre esperienze e le nostre riflessioni. Per questo insieme agli articoli dei nostri collaboratori scegliamo e presentiamo con evidenza gli aggiornamenti offerti da una serie di siti, realtà editoriali e associative già strutturate e presenti in rete, che mantengono la propria autonomia. sbilanciamoci.info è un luogo di ricerca. E dunque, per definizione, aperto a contributi anche tra loro divergenti purché basati su elementi di conoscenza, elaborazione, interpretazione. La redazione, in coordinamento con un gruppo più ampio di referenti scientifici, propone, richiede e seleziona gli articoli.
20th Conference on Alternative Economic Policy in Europe da 25/09/2014 00:00 a 27/09/2014 00:00 _ Roma,
20th Conference on Alternative Economic Policy in Europe from 25-27 September 2014, organised by the EuroMemo Group and jointly hosted with Economia Civile, in Rome at the Sapienza University. What future for the European Union - Stagnation and polarisation or new foundations?
Presentazione del volume "Il capitale nel XXI secolo" (Bompiani) di Thomas Piketty, intervento introduttivo Stefano Fassina, Camera dei Deputati, 9 ottobre 2014, 09/10/2014 da 15:00 a 18:00 _ Sala della Regina Palazzo - Montecitorio - Ingresso principale,
Giovedì 9 ottobre 2014 ore 15.00 Sala della Regina Palazzo Montecitorio Ingresso principale
LA RESILIENZA DI NOI EUROPEI, di Andrea Succi
Una breve riflessione di un amico di lunga data
Ignazio Visco, Governor of the Bank of Italy, IEA-ISI Strategic Forum 2014 Final Roundtable: Accounting for the long-term costs of the recession Rome, 23 September 2014
The legacies of the Great Recession are many and multifaceted; they not only affect current cyclical developments, but may also have permanent bearings on our economies. However, today’s difficulties and opportunities, as well as tomorrow’s prospects, are the result of deep underlying forces that were already reshaping the functioning of the world economy well before the Great Recession began.
Ecco perché Bonanni ha lasciato la Cisl. Intervista a Carlo Clericetti, intervista a "Rainews" blog "Confini", di Pierluigi Mele, 24 settembre 2014
Da ieri Raffaele Bonanni è dimissionario dall’incarico di Segretario Generale della Cisl, una decisione imprevista. Per saperne di più, e per capire dove andrà la Cisl del dopo Bonanni, abbiamo intervistato Carlo Clericetti, giornalista economico del gruppo editoriale “Espresso”.
La carica di Joseph Stiglitz contro l'austerity, di Benedetto Vecchi, il manifesto, 24 settembre 2014
Incontri. Lectio magistralis dell'economista premio Nobel alla Camera dei deputati di Roma
J. Stiglitz, Conferenza alla Camera dei Deputati, Roma, 23 settembre 2014
Registrazione della Lectio Magistralis Joseph Stiglitz ''La crisi dell'euro cause e rimedi''
L’imperfezione dei mercati, di Joseph Stiglitz, Sbilanciamoci.info, 26 settembre 2014
L'età della depressione/La miscela esplosiva contemporanea: un modello che mescola declino economico e speculazioni della finanza, una produzione ridotta all'osso e controllata dalle grandi imprese, vecchi risparmi familiari che finanziano consumi impoveriti, una società disuguale, frammentata e disorientata
J. Stiglitz - La crisi dell'euro: cause e rimedi, Martedì 23 Settembre 2014 ore 16:00 | LECTIO MAGISTRALIS
Presso l'Aula dei gruppi parlamentari, si è svolta la Lectio Magistralis di Joseph Stiglitz dal titolo "La crisi dell'euro: cause e rimedi". Ha aperto i lavori un saluto introduttivo della Presidente della Camera, Laura Boldrini. E' intervenuto il deputato Giulio Marcon.
Europe’s Austerity Disaster, di Joseph Stiglitz, Social Europe Journal, 29 settembre 2014
“If the facts don’t fit the theory, change the theory,” goes the old adage. But too often it is easier to keep the theory and change the facts – or so German Chancellor Angela Merkel and other pro-austerity European leaders appear to believe. Though facts keep staring them in the face, they continue to deny reality...................
Austerità e crescita. Lo stato della (dis)Unione, di Roberto Tamborini, 29 settembre 2014, nelmerito
In Europa tutti sono a favore della crescita, medicina di tutti i nostri mali. Ma secondo Daniel Gros, noto economista molto addentro alle cose europee, stiamo assistendo alla contrapposizione inconciliabile di due visioni delle politiche economiche per uscire dalla crisi. Ne sa qualcosa Matteo Renzi. Quanto meno c'è una grande confusione (in buona fede?) intorno alla querelle su austerità e crescita. La confusione non aiuta a valutare lo stato della malattia, né a individuare la giusta terapia.
L’Italia chieda una nuova Bretton Woods per l’eurozona, di Leonardo Becchetti, Avvenire, 3 ottobre 2014
Verso la fine degli anni ‘60 l’allora leader francese, il “picconatore” Charles de Gaulle con la sua richiesta di convertire il dollaro in oro sancì di fatto l’inizio della fine del Gold Standard, il sistema monetario internazionale in vigore dal dopoguerra fondato sulla leadership americana (fine che di fatto avvenne con la decisione di Nixon del 1971 di porre fine alla convertibilità del dollaro in oro). Oggi la decisione dell’attuale leader francese, il “picconatore” Francois Hollande, di ignorare i vincoli di bilancio europei annunciando di voler rimandare il ritorno del rapporto deficit/PIL sotto il 3% di due anni potrebbe mettere la parola fine al sistema dell’austerità europea fondato sul Fiscal Compact.
Oltre Sel, una leadership collettiva, Giorgio Airaudo, Giulio Marcon, il manifesto, 4.10.2014
Sinistra. Una convenzione aperta a tutti, con movimenti, forze militanti delle tante solidarietà disperse ma anche delusi del Pd
Il Tfr in busta paga ci dice da che parte sta Renzi (se ce n’era bisogno), di Pierfranco Pellizzetti blog, 4 ottobre 2014
Quella del Trattamento di Fine Rapporto (Tfr) in busta paga è l’ennesima mossa renziana all’insegna della doppiezza, tra la furbizia di Chichibio (il cuoco del Boccaccio che fregava il padrone con la parlantina) e un americanismo ribollito nei paioli di Rignano sull’Arno. Se il primo riferimento riguarda una mentalità locale di chiara matrice tradizionale, l’altro si connette direttamente agli arsenali argomentativi che sono stati messi a punto in questi anni; nella guerra civile non dichiarata dai molto abbienti contro i poveri e gli impoveriti. Soprattutto nelle fucine dell’inganno dall’altra sponda dell’oceano.
Ci siamo, Norma Rangeri, il manifesto, 4.10.2014
L'intervento. In questa battaglia per una sinistra rinnovata, plurale, ricca di esperienze diverse, chiara in alcuni obiettivi comuni (non bisogna essere d'accordo su tutto), noi del manifesto ci siamo. E ci saremo. Oggi il manifesto è vivo e vegeto e spera di festeggiare la fine dell’anno con l’impresa più grande di tutte: ricomprarci la testata
Sior paron dalle belle brache bianche caccia le palanche, Eugenio Scalfari, Repubblica.it, 5 ottobre 2014
Qualche volta scrive ancora cose sagge!
Le flessibilità che non servono e lo scalpo dell’articolo 18, di Paolo Pini, Economia e Politica, 5 ottobre 2014
La rappresentazione dell’Ocse dello stato del mercato del lavoro italiano durante la crisi è drammatica. L’Employment Outlook del settembre 2014 lo attesta senza troppe ambiguità. Peraltro nell’intera eurozona la situazione non è molto diversa, se si fa una comparazione con gli Stati Uniti ma anche con i paesi europei fuori dalla moneta unica. L’Ocse giunge a rilevare che troppa flessibilità nel mercato del lavoro, troppi rapporti di lavoro non-standard, precari e mail retribuiti, abbassano la motivazione dei lavoratori ed il loro impegno, peggiorano anche le condizioni di lavoro nell’impresa, ed infine, creano addirittura problemi sulla crescita della produttività. Anche Mario Draghi governatore della BCE nel suo intervento di fine agosto negli Stati Uniti ha espresso preoccupazione. Draghi ha posto il problema della carenza di domanda, ed ha avanzato anche alcuni importanti distinguo circa la dimensione della disoccupazione strutturale rispetto alla disoccupazione ciclica, giungendo ad affermare che le stime della Commissione Europea sono soggette a molta incertezza ed affidabilità quindi quando si prescrivono politiche economiche dal lato dell’offerta. Ciononostante, le due istituzioni, OCSE e BCE, non sembrano trarre dalla loro analisi alcune conseguenze importanti, ovvero che insistere sul refrain delle riforme strutturali, sul mercato del lavoro in particolare, non è la politica più adatta per contrastare la crisi ed avviare un percorso di crescita. Anzi insistono sulla necessità di ulteriori interventi per flessibilizzare il lavoro, flessibilizzare gli ingressi ed ancor più le uscite, ovvero rendere più facile i licenziamenti, individuali e collettivi. E quindi l’articolo 18 in Italia ritorna al centro della discussione: la sua definitiva cancellazione dopo la riforma recente del 2012 appare come l’unico risultato che il governo Renzi debba portare al tavolo europeo nel prossimo summit di ottobre sulla disoccupazione. Per ottenere cosa in cambio non appare chiaro. Si chiede più flessibilità sui conti, perché con un Pil che diminuisce anche nel 2014 i conti traballano assai e l’Aggiornamento al Def1014, in attesa della Legge di stabilità, è davvero molto problematico come anche Padoan ha dichiarato al Parlamento italiano.
Europa intrappolata nel labirinto delle regole, interventi di Andrea Boitani e Lucio Landi, lavoce.info, 7 ottobre 2014
Le regole europee sono più complesse e articolate del semplice rispetto di un tetto del 3 per cento di rapporto deficit/Pil. Esistono anche regole sul saldo strutturale, la spesa e il debito. Raccolti in un nuovo dossier gli interventi sul tema. Quando, ai primi di agosto, sono stati diffusi I dati negativi sul Pil italiano nel secondo trimestre 2014, i titoli dei giornali indicavano come principale conseguenza la necessità di una “manovra correttiva” volta a mantenere il rapporto tra deficit e Pil sotto il 3 per cento. Il Presidente del Consiglio si è affrettato a dichiarare che rimarremo sotto il 3 per cento nonostante la recessione e senza manovre. Non interessa tanto chi abbia ragione. Interessa il fatto che tutti pensino che l’unica regola europea da rispettare sia restare sotto il 3 per cento e il paradosso (scarsamente rilevato dalla stampa) che a fronte di una nuova recessione si dovrebbero mettere in atto manovre ulteriormente recessive “per rispettare le regole europee”. Nella tetralogia di pezzi riproposta in questo dossier si cerca di spiegare che le regole europee sono da qualche tempo assai più complesse e articolate del semplice rispetto di un tetto del 3 per cento di rapporto deficit/Pil “nominale”. Innanzitutto, un ruolo cruciale hanno i saldi strutturali per ridurre la pro-ciclicità delle regole. Ma per il calcolo dei saldi strutturali viene utilizzata una metodologia discutibile (e discussa), che finisce per reintrodurre la pro-ciclicità dalla finestra. Sui saldi strutturali si fonda l’intera costruzione del Patto di stabilità e crescita come riformato nel 2011, con tutto il suo armamentario di obiettivi di medio termine (MTO) per ogni paese e di braccio preventivo che entra in azione se l’MTO non viene conseguito, con l’importante qualificazione che i paesi ad elevato debito devono mettere in atto manovre per raggiungere l’MTO anche nelle fasi negative del ciclo: di nuovo pro-ciclicità delle regole. Quello che riguarda il famoso rapporto 3 per cento di deficit/Pil è, invece, il braccio correttivo. A queste regole se ne aggiungono poi altre che riguardano la spesa (per impedirne un uso discrezionale nelle fasi del ciclo e aiutare il conseguimento del MTO) e il debito pubblico, che prevede una riduzione di 1/20 l’anno del rapporto tra debito e Pil se tale rapporto supera il fatidico 60 per cento, sia pure con una complicata serie di clausole di non applicazione delle sanzioni, nei casi in cui i paesi si trovino in fasi recessive. Purtroppo, questo complicato e poco trasparente dedalo di regole non ha certo impedito che le politiche di consolidamento fiscale messe in atto in gran parte dell’Area Euro a seguito della crisi dei debiti sovrani e degli spread tra tassi di interesse dei paesi del Sud e quelli tedeschi producessero effetti negativi sul tasso di disoccupazione, senza peraltro migliorare (e anzi peggiorando) il rapporto tra debito e Pil ed avendo sugli spread effetto molto minore dell’annuncio di Mario Draghi (luglio 2012) di essere pronto a fare whatever it takes per salvare l’Euro. È chiaro ormai (anche agli economisti più “ortodossi”) che con queste regole europee - e con i limiti che la politica monetaria ha quando i tassi di interesse nominali sono già a zero e pende la minaccia di “scomunica” da parte della Corte Costituzionale tedesca – muore tutta l’Eurozona e non solo i soliti reietti paesi del Sud. Sembra chiaro che l’uscita dalla recessione passa per una politica di espansione della domanda condotta a livello europeo, sia essa costituita dalla nascita di un nucleo di bilancio federale europeo per sostenere una sistema continentale di sussidi ai disoccupati o da una aumento di spesa per investimenti pubblici soprattutto in infrastrutture tecnologiche e in ricerca, istruzione e innovazione, o da una riduzione coordinata tra tutti i paesi della pressione fiscale. E forse sta diventando chiaro che il mito (e la retorica) delle “riforme” supply side non aiutano a far uscire dalla crisi un intero continente, se arrancano sia i paesi che le riforme le hanno fatte sia quelli che non le hanno fatte. Il che non significa che le riforme non vadano fatte per rendere possibile che tutta l’Europa (e soprattutto il suo Sud) – uscita dalla recessione – si ponga su un sentiero di crescita stabile e sostenibile. Ma forse sarebbe opportuno fermarsi a ragionare su quali riforme siano veramente utili e urgenti e quali siano inutili, quali addirittura dannose o semplicemente meno urgenti.
La BCE a Napoli: ciò che il Sud vuole sapere , di Ugo Marani - 07 ottobre 2014, Economia e Politica
La virtù della lungimiranza risiede nella capacità di declinare ciò che è, apparentemente, opposto: il concreto con l’intangibile, la sofisticatezza intellettuale con il sociale, il fixing dei tassi di interesse della Banca Centrale Europea con la povertà delle regioni meridionali. Questa connessione è quanto riusciva a Keynes quando, sfuggendo insoddisfatto, nella primavera del 1919, dal tavolo dei vincitori della Grande Guerra riuniti a Parigi, si recava a Berlino dal banchiere Melchior e poteva constatare di persona come le sanzioni imposte alla Germania si concretizzassero in drammi sociali e umani in una nazione deprivata e affamata. E questa empatia ridiventava, per Keynes, argomento inascoltato di critica all’iniquità del diktat ai vinti. Un preambolo apparentemente lontano, il nostro, ma che ci aiuta, di sicuro, a capire quale avrebbe dovuto essere il senso della riunione degli organismi direttivi della Banca Centrale Europea che si è tenuto il due di ottobre a Napoli: si sono “visitati” i lembi estremi dell’impero senza che essi abbiano costituito momento di riflessione per l’impostazione e le misure di politica economica che sono state varate.
Keynes, Brüning And Pierre Moscovici’s Hearing With Econ, 07/10/2014, by Ronald Janssen, Social Europe Journal
It is said that, in the midst of the Great Depression, German finance minister Brüning made John Maynard Keynes leave a meeting in tears. Listening to last week’s hearing of the European Parliament’s Economics Committee with designate commissioner Pierre Moscovici, one can fully understand this feeling.
The ECB’s Faulty QE Weapon 10/10/2014 by Daniel Gros, Social Europe Journal
With inflation in the eurozone stubbornly remaining on a downward trajectory, pressure on the European Central Bank to do “something” to prevent outright deflation is growing. This “something” is usually understood to be massive asset purchases, or quantitative easing (QE). But would QE actually do the trick?
Moneta e Credito, vol. 67 n. 267 (2013), 243-270 © Economia civile Teoria dell’occupazione: due impostazioni a confronto ALESSANDRO RONCAGLIA
Questo numero della nostra rivista ospita – assieme a un articolo di Esposito (2014) sul sistema bancario italiano e alla consueta rubrica di segnalazioni bibliografiche – un inedito di grande interesse: una lettera di Franco Modigliani a Paolo Sylos Labini del 14 settembre 1956 (con indicate in nota le annotazioni del destinatario: Modigliani, [1956] 2014). La lettera è stata rinvenuta tra le carte di Modigliani da Antonella Rancan, che ne cura la pubblicazione e che nel suo articolo (Rancan, 2014) fornisce un utile inquadramento storico della lettera stessa, con notizie sull’amicizia tra i due economisti e sul retroterra teorico e culturale della loro discussione.
PROCYCLICAL AND COUNTERCYCLICAL FISCAL MULTIPLIERS: EVIDENCE FROM OECD COUNTRIES Daniel Riera-Crichton Carlos A. Vegh Guillermo Vuletin Working Paper 20533 http://www.nber.org/papers/w20533
Using non-linear methods, we argue that existing estimates of government spending multipliers in expansion and recession may yield biased results by ignoring whether government spending is increasing or decreasing. In the case of OECD countries, the problem originates in the fact that, contrary to one's priors, it is not always the case that government spending is going up in recessions (i.e., acting countercyclically). In almost as many cases, government spending is actually going down (i.e., acting procyclically). Since the economy does not respond symmetrically to government spending increases or decreases, the "true" long-run multiplier for bad times (and government spending going up) turns out to be 2.3 compared to 1.3 if we just distinguish between recession and expansion. In extreme recessions, the long-run multiplier reaches 3.1.
Navigazione