MATTEO PUCCIARELLI – L’articolo 18, servito anche a chi non ce l’ha, tratto da Micromega online, 22 settembre 2014

Sì, una metà del mondo del lavoro, ormai, non è tutelato dall’articolo 18. Vero, verissimo e anche triste. E allora tantovale abolirlo, dice e pensa una parte di quelli che non hanno questa specie di scudo. Verrebbe da rispondere, semplicemente, che se è un diritto e una tutela (come in effetti è) perché non estenderlo? Da quando in qua, in nome di un diritto che non si ha, si decide di toglierlo definitivamente?

MATTEO PUCCIARELLI – L’articolo 18, servito anche a chi non ce l’ha



Sì, una metà del mondo del lavoro, ormai, non è tutelato dall’articolo 18. Vero, verissimo e anche triste. E allora tantovale abolirlo, dice e pensa una parte di quelli che non hanno questa specie di scudo. Verrebbe da rispondere, semplicemente, che se è un diritto e una tutela (come in effetti è) perché non estenderlo? Da quando in qua, in nome di un diritto che non si ha, si decide di toglierlo definitivamente?

«Noi, la generazione perduta, l’articolo 18 non l’abbiamo mai conosciuto, e non sappiamo che farcene. Ma questo perché nessuno, dalla politica ai sindacati, è stato in grado di leggere i cambiamenti in atto e di affrontarli nel giusto modo. Abolitelo dunque questo vecchio, antico arnese chiamato articolo 18, controllateci con le telecamere, licenziateci e risarciteci con un indennizzo economico. Se credete che questo serva a rilanciare l’economia, dunque se lo facciamo per i nostri figli, facciamolo», scrive (provocatoriamente) Giulio Finotti.

Vorrei rispondere alla provocazione di Giulio, che fa il verso ai tanti che dicono davvero di volerlo abolire, miei coetanei e spesso di “sinistra”, che noi lo abbiamo conosciuto eccome. Dovremmo ringraziarlo, l’articolo 18. E dovremmo ringraziare chi lo ha conquistato in passato, a costo di miliardi di ore di sciopero, di una durissima lotta politica cominciata sul finire degli anni ‘60.

Ho conosciuto l’articolo 18 attraverso mio padre. Un impiegato. Uno stipendio. E se penso a lui e penso alla mia famiglia, un padre e una madre con cinque figli da crescere, non mi passa neanche per l’anticamera del cervello la parola “privilegio” associato alla sua condizione di lavoratore tutelato da un contratto a tempo indeterminato. Mi viene in mente la parola “dignità”: sapere che c’era uno strumento che tutelasse minimamente la vita (la vita, dico) di sette persone. Sapere che mio padre potesse pure stare sul cazzo al suo superiore, al direttore della sua filiale o non so a chi; sapere che mio padre potesse anche sbagliare, perché sbagliare capita a tutti; sapere che mio padre potesse pure ammalarsi; sapere che poteva succedere tutto questo, eppure avere una protezione che non lo facesse campare con il terrore del domani, e noi con lui.

Per questo oggi mi incazzo con chi ci racconta la balla del «voi avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità». Perché questi anni, questi decenni, non sono stati uguali per tutti; e perché un baby pensionato, un finto invalido, un assunto alle poste dal notabile locale, non fanno comunque la storia di milioni di persone che nel nostro Paese hanno messo insieme il pranzo con la cena con non poche difficoltà, eppure con onestà da una parte, e con la dignità di chi si nutre di un diritto dall’altra.

Io all’articolo 18 sarò sempre grato. Gli voglio bene. Fosse una persona, la abbraccerei ogni giorno invece di cacciarla via a pedate nel culo. Ed è vero che il mondo cambia, che il lavoro e la produzione mutano, ma la modernità che di fatto toglie a chi ha già avuto poco puzza di antico, puzza di furto. Chi non se ne rende conto è sì davvero ideologico: il problema è che non se ne accorge, né si accorge – in ultimo – di chi sta facendo gli interessi.


Matteo Pucciarelli

(22 settembre 2014)

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