Una legge di stabilità per uscire dalla recessione
La “manovrina” vende patrimonio pubblico per ridurre il disavanzo, anziché per abbassare il debito. È un grave precedente, che la Ragioneria non dovrebbe certificare. Speriamo in una manovra ben diversa, che riduca in modo consistente il cuneo fiscale.
IL DEBITO E LA CRESCITA
Negli ultimi due anni, nonostante la pressione fiscale sia aumentata da 42,5 per cento nel 2011 a 44,3 per cento nel 2013 e la spesa pubblica primaria sia diminuita in termini nominali, il rapporto tra debito pubblico e Pil è aumentato di oltre 12 punti. Le entrate nel 2013 saranno inferiori di circa 30 miliardi alla previsione che il Governo Monti presentò al Parlamento all’atto del suo insediamento, prima quindi di intervenire con la manovra del dicembre 2011. La recessione, insomma, ha quasi interamente vanificato quella manovra e ci consegna addirittura un quadro peggiore di quello che allora sembrava pessimo al punto da indurre, come si ricorderà, il governo appena insediato a intervenire pesantemente. Ciò dimostra che i problemi dei nostri conti pubblici sono dovuti a lustri di bassa crescita seguiti da due pesanti recessioni. Se l’economia non cresce, per quanti sforzi si facciano dal lato delle spese e delle entrate, la sostenibilità della finanza pubblica -misurata sinteticamente dal rapporto debito/Pil- non migliora.
L’esigenza più urgente è in questo momento sostenere la domanda di beni per portarci fuori dalla recessione, mentre si portano avanti quelle riforme strutturali che aumenteranno, nel giro di qualche anno, il tasso di crescita potenziale della nostra economia. Per intercettare la domanda che viene dall’estero, bisogna migliorare la competitività delle nostre imprese, abbassando il costo del lavoro per unità di prodotto, ancora nettamente più alto di quello di altri paesi dell’area euro, Spagna compresa. Per rivitalizzare la domanda interna bisogna migliorare le condizioni del mercato del lavoro. Una riduzione immediata e consistente della pressione fiscale sul lavoro permette di perseguire simultaneamente entrambe le strade.
BASTA NAVIGARE A VISTA
Le regole europee e il funzionamento dei mercati finanziari rendono molto stretti i margini di intervento. La reazione sin qui del Governo è stata quella di vivere alla giornata. L’emblema di questa visione di brevissimo periodo è nella manovrina varata giovedì per dimostrare che stiamo facendo di tutto per centrare l’obiettivo di contenere il rapporto deficit/Pil sotto al 3 per cento. Oltre a nuovi tagli lineari sulla spesa si destinano vendite del patrimonio pubblico alla riduzione del disavanzo anzichè all’abbattimento del debito. Questa operazione, che la Ragioneria dovrebbe bloccare, crea un grave precedente.
Bene che la legge di stabilità che il governo si avvia a varare lunedì prossimo sia ben diversa. Solo nell’ambito di un orizzonte pluriennale, almeno da qui al 2016, è infatti possibile ampliare i margini per condurre politiche di bilancio più espansive, convincendo l’Europa e i mercati della credibilità di un’operazione che deve cercare di attingere il più possibile a fondi europei e può anche prevedere un temporaneo aumento del disavanzo per stimolare la ripresa dell’economia e rendere così più sostenibile anche la finanza pubblica. In altre parole, non dovrebbe essere solo una manovra “lorda”: devono aumentare le risorse messe a disposizione dell’economia. In concreto si tratterebbe di far partire subito un pacchetto di stimolo fiscale, con la riduzione del cuneo e possibilmente anche investimenti pubblici (che restano la voce di bilancio con il moltiplicatore più alto) nella manutezione delle scuole.
COME E DI QUANTO RIDURRE IL CUNEO
In un paese in cui si continuano a ripetere gli stessi errori, bisogna fare tesoro delle esperienze con riduzioni del cuneo fiscale varate dai governi (sempre di centro-sinistra in passato). Il grafico qui sotto – tratto dalla relazione Banca d’Italia del 2009 – le richiama.
Fonte: Relazione Banca d’Italia 2009; elaborazioni su dati Istat, Conti economici nazionali.
Quella varata dal Governo Prodi con la Finanziaria del 2007 prevedeva uno sgravio sulla carta di 5 punti del cuneo fiscale, ma da realizzare in modo graduale nell’arco di tre anni. Il primo intervento fu di circa 2 miliardi e mezzo attuato, per quanto riguarda i lavoratori, mediante un incremento delle deduzioni Irpef e, per gli imprenditori, con un alleggerimento dell’Irap. Eppure gli imprenditori sembrano non essersi neanche accorti della misura di Prodi. I lavoratori, forse a maggior ragione, ancora meno. Forse perchè sono al contempo aumentate le addizionali locali dato che il provvedimento era stato finanziato anche con i soliti tagli lineari alla spesa locale e perchè il taglio era molto contenuto. Nella relazione Banca d’Italia del 2008, si legge che “l’entità della flessione, a seconda del comune di residenza, è compresa per la quasi totalità dei comuni tra 0,3 e 0,7 punti percentuali del costo del lavoro per un lavoratore senza carichi familiari”. Fatto sta che l’occupazione, ancora prima dell’inizio della recessione, dal 2007 ha cominciato a diminuire. E non ha smesso di farlo da allora.
NON RIPETERE GLI ERRORI DEL PASSATO
Oggi non bisogna ripetere gli errori. Il Governo sembra intenzionato a fare la stessa cosa di Prodi: manovra graduale, inizialmente di 2-3 miliardi, a crescere negli anni successivi e attuata tramite Irap e deduzioni Irpef. I tagli alla spesa pubblica locale sono già stati varati con la manovrina e sono lineari. Premessa di aumenti di tasse a livello locale. Invece la riduzione del cuneo fiscale dovrebbe essere consistente, ben visibile da lavoratori e imprese e non finanziata con altre tasse manovrate dal centro o a livello locale. Riteniamo che per essere incisivo il taglio deve valere almeno 15-16 miliardi. Può consistere in una riduzione generalizzata dei contributi sociali che potrebbe, ad esempio, portare i contributi previdenziali dal 32,7 al 30 per cento del salario. Altrimenti può concentrarsi sui salari più bassi, sotto forma di incentivi condizionati all’impiego che permettano di ottenere salari netti più alti, ad esempio, a chi esce dalla disoccupazione pur con lavori part-time e meno remunerativi di quelli che aveva in precedenza.
Il vantaggio di operare sui salari bassi è che si avrebbero effetti più importanti sulla domanda interna, data la più alta propensione al consumo di chi ha redditi più bassi. Dal punto di vista tecnico, ciò si può ottenere in vari modi: riducendo di una somma fissa (dell’ordine di grandezza di 1000 euro su base annua) i contributi previdenziali di tutti i lavoratori, oppure introdurre un sussidio condizionato all’impiego (ad esempio tale da portare a 5 euro all’ora ogni lavoro pagato meno di quella cifra).
Per gli investimenti pubblici è fondamentale concentrarsi su progetti di manutenzione di strutture come le scuole evitando di imbarcarsi in nuove opere dai tempi di realizzazione incerti. La priorità è, comunque, la riduzione del cuneo fiscale.
COME FINANZIARLA
La riduzione del cuneo fiscale dovrebbe decorrere dal primo gennaio 2014. Il pacchetto verrebbe inizialmente finanziato, almeno in parte, con i fondi europei e in disavanzo oltre che con riduzioni di spesa rese possibili dalla spending review, a crescere fino a garantire la completa copertura dei provvedimenti nel 2016. Per rendere la manovra credibile agli occhi dell’Europa e dei mercati, il Parlamento dovrebbe comunque approvare subito una serie di misure di taglio della spesa, alcune di efficacia immediata e altre che entreranno in vigore nel 2016 se la spending review non dovesse portare ai risultati sperati.
Nel caso di interventi concentrati sui salari più bassi, la riduzione del cuneo potrebbe essere finanziata inizialmente tramite il Fondo sociale europeo, che richiede per intervenire sgravi fiscali concentrati sui gruppi più vulnerabili anzichè interventi generalizzati. Nel negoziato con Bruxelles si potrà fare riferimento al precedente della Spagna o della Repubblica Slovacca. Anche gli investimenti pubblici possono essere finanziati dai fondi europei.
I tagli della spesa approvati per entrare in vigore nel 2016 dovrebbero essere necessariamente selettivi, dato che anni di tagli lineari ci dimostrano che questi sono spesso più virtuali che effettivi e colpiscono per definizione anche componenti della spesa pubblica (come la scuola e le infrastrutture) che richiederebbero in questo momento maggiori risorse. I tagli selettivi potrebbero incentrarsi sui trasferimenti alle imprese (tra 5 e 10 miliardi), la formazione professionale affidata alle regioni (7 miliardi), gli interventi sulle pensioni d’oro (1 miliardo) ed eventualmente spingersi a considerare una riduzione della copertura del Servizio sanitario nazionale (ad esempio, il medico di base) per chi ha redditi elevati. Possibile anche ridurre le disparità territoriali nelle remunerazioni nel pubblico impiego, dove non si tiene minimamente conto delle grandi differenze presenti nel costo della vita, quindi nel potere d’acquisto dei salari, fra diversi mercati del lavoro locali.