Marcello Spanò ricorda Lunghini (23 dicembre 2018)

«Giorgio Lunghini era il capostipite di "quelli di Pavia", conosciuti per avere tentato di salvaguardare il pluralismo nell'insegnamento di economia negli anni in cui il pensiero liberista e reaganiano e l'approccio monolitico manualistico cominciava a travolgere come una valanga anche le università italiane.

Negli anni novanta, quando sono entrato all'università, in quasi tutta Italia l'imprinting che i corsi di base fornivano agli studenti era tratto da manuali in cui difficilmente riuscivi a scorgere l'ombra di un dibattito, e la percezione che l'economia politica fosse una materia in cui si giocano fondamentali battaglie civili, teoriche, filosofiche e politiche era disvelata solo agli studenti più motivati che sceglievano materie più specialistiche e di approfondimento, negli anni successivi. L'imprinting al primo anno, invece, era un grigio uniforme, un pensiero privo di contrasti, e questa forma mentis condizionava la stragrande maggioranza degli studenti, una generazione che si è abituata a pensare alla scienza economica (e alla scienza in generale) come una macchina che procede per accumulazione di conoscenza, che segue un metodo unico e condiviso e che raggiunge risultati oggettivi.
A Pavia no, non ancora. Il primo corso di economia (Lunghini docente) cominciava con i fisiocratici, poi Smith, Ricardo, Marx, i neoclassici e finiva con Keynes. Il secondo (De Vecchi docente) cominciava con Keynes e Kalecki, esaminava le teorie (al plurale) della moneta, per finire con il dibattito contemporaneo sul ruolo dello Stato in economia.
Io di questo approccio pluralista e relativista andavo fiero, fin dall'anno zero dei miei studi, e lo difendevo di fronte a chiunque lo considerasse vecchiume. Provavo compassione per gli studenti delle università che studiavano sui manuali, perché non erano messi in condizioni di apprezzare la pienezza della materia.

Questo approccio pluralista è stato merito di Lunghini e dei suoi colleghi, che negli anni del reaganismo, in cui non c'erano le condizioni per scrivere un'enciclopedia illuminista, con un lavoro collettivo di vera e propria resistenza avevano dato alle stampe un importante Dizionario di Economia Politica, in diversi volumi, in cui, voce per voce, ogni tema economico veniva ripercorso e interpretato dal punto di vista delle diverse teorie che i pensatori economici degli ultimi due secoli e mezzo sono stati capaci di produrre. Uno strumentario essenziale al servizio dell'elasticità mentale.

Purtroppo già in quegli anni si intuiva, o almeno io intuivo, che questa scuola pavese era in fase di declino. Molti colleghi che con Lunghini avevano scritto il Dizionario erano sempre più affascinati da linguaggi e metodi di moda nei paesi anglosassoni, cominciavano a seminare funzioni di utilità ovunque passavano, a considerare "vetero" qualsiasi pensiero che si rifiutasse di scimmiottare le tecniche su cui il mondo intero si stava uniformando e che avrebbero condotto al progresso e al Nobel. Chi voleva preservare uno spazio al dibattito sui fondamenti dei paradigmi scientifici alternativi, o alla logica argomentativa in contraposizione con la logica dimostrativa, non era considerato degno di proseguire gli studi, e se era già docente universitario era considerato una zavorra da contrastare e da isolare.
Il giorno in cui ho dovuto scegliere l'argomento della tesi, il relatore, che era uno dei pavesi non pentiti, mi consigliò - credo saggiamente, dato il contesto accademico di quegli anni - di non dedicarmi a ciò che mi piaceva davvero. Se volevo proseguire gli studi, mi sarei dovuto camuffare da economista mainstream, imparare a parlare il loro stesso linguaggio, dominare le loro tecniche, sperando di recuperare in futuro qualcosa delle mie conoscenze critiche e dei miei interessi originari.
In futuro quando? Per quanto tempo?
Non sappiamo - mi diceva il mio relatore - ma non vedo alternative. Tu sarai un fiume carsico, sparirai sottoterra per riemergere un giorno, da qualche altra parte.

Non so se sono più riemerso. Alcuni fiumi carsici si perdono sotto la roccia e nessuno li vede più. Però, scorrazzando tra una roccia e l'altra, ho avuto modo di vedere cosa è diventata l'università, cosa è diventato l'insegnamento di economia, e anche cosa è diventato il dipartimento di Pavia, che nel mio ideale giovanile rappresentava il faro della resistenza. Non ho rivisto più nulla di ciò che era. Manuali, tecniche di modellizzazione, misurabilità ed econometria come unico orizzonte possibile di confronto, bravi economisti di gran successo che accumulano strabilianti pubblicazioni di fascia AAAAAAAAAA++++ come piacciono all'ANVUR cui corrisponde un sostanziale immenso arido piattume dell'insegnamento; il dottorato storico degli economisti pavesi, che ai miei tempi si distingueva per le forti componenti "eretiche", è oggi demolito, e al suo posto c'è un dottorato ortodosso senz'anima, consorziato con altri dipartimenti senz'anima. I pochi economisti critici superstiti sparsi per l'Italia sono ridotti a piccole riserve indiane.
E oggi pure Lunghini, che era sopravvissuto come un superstite al declino della sua scuola senza eredi ai posti di comando, ci ha lasciati.»

Un ricordo del professor Giorgio Lunghini scritto da Marcello Spanò, tesoriere della nostra associazione.

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